ATLANTIDE, evidenze sulla possibilita della sua esistenza

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view post Posted on 15/2/2011, 13:47

Super Sayan

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Desidero,anche in questo forum,parlare di Atlantide.Non voglio,nella seguente disamina,dimostrarne l'esistenza,ma porre in evidenza questa possibilita,e conseguentemente affermare che nessuno,e dico nessuno puo dimostrarne la non esistenza.

La questione dell'esistenza del continente perduto di Atlantide è stata dibattuta per secoli senza mai arrivare ad una prova certa della sua esistenza ne della sua inesistenza.Molteplici sono gli studi intrapresi sino ad oggi,ma mai nessuno è riuscito a mettere insieme il sapere delle varie branche della scienza per determinare la possibilita che la storia di Platone rispondesse al vero.
Noi oggi partiremo dal concetto che Platone nel Timeo e nel Crizia abbia detto,come da lui sostenuto piu volte, la verita.
Chi siamo noi per mettere in dubbio la parola di Platone?
Nel proseguo della discussione porteremo evidenze geologiche,zoologiche,oceanografiche,biologiche,testimonianze di popolazioni antiche ed infine linguistiche.
Tutto questo crera un quadro piuttosto completo per poter asserire con cognizione di causa che Atlantide puo essere veramente esistita.
In questa disamina voglio incominciare con l'opera del conte Giovanni Rinaldo Carli nel suo "lettere americane"
Prima di rimandarvi al testo voglio presentarvi le sue conclusioni

"Vi è dunque stata, tra l'America e il nostro continente, una terra molto estesa. Le isole che esistono attualmente nello spazio che separa i due continenti sono certamente le cime di montagne così alte da emergere. Io concludo quindi senza difficoltà che vi è stato là un vasto territorio, esistito forse più di 6000 anni fa, e comprendente, partendo dalle isole di Alvarez e di Tri-stano da Acuna, le Picos, le isole di Martin de Vaz, Sant'Elena, la Grande Ascensione, le isole di S. Matteo, le Canarie e le Azzorre. Questo continente sarebbe stato più grande dell'Africa e una parte dell'Europa prese assieme, poiché avrebbe occupato 80 gradi di la-titudine, metà a nord e metà a sud dell'equatore. Di conseguenza, non meno di 4800 miglia marine, o di 60 gradi".

qui il testo delle "lettere"

http://books.google.it/books?id=ns_IanVR8o...epage&q&f=false

buona lettura

orso in piedi

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Edited by orso in piedi - 15/2/2011, 19:43
 
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moma91
view post Posted on 15/2/2011, 18:09




non va il link :cry:
 
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view post Posted on 15/2/2011, 19:44

Super Sayan

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Scusa moma,ho modificato il link.Prova ora

orso in piedi
 
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view post Posted on 16/2/2011, 14:08

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Intanto,vediamo di definire a grandi linee dove poteva essere situata Atlantide.Platone affermava al di la delle colonne d'Ercole.Ora considerando che gia dall'antichita le colonne d'Ercole erano rappresentate dallo stretto di Gibilterra,è evidente che Atlantide la dovremmo posizionare nell'altlantico.Ora se osserviamo i fondali marini di questo oceano troveromo un grande bassorilievo,detto Piano di Dolfin,decisamente piu basso del livello del fondo dell'oceano tutto intorno.Questa depressione si estende dall'atlantico settentrionale(islanda,azzorre)sino a giungere nell'atlantico centrale,tra Africa ed America(dalle canarie, isole di capo verde alle isole del golfo del messico).Ora questo è importante poiche se ubichiamo qui il continente di Atlantide,avremo piena giustificazione delle osservazioni di flora,fauna,riscontri geologigi e linguistici che troviamo nei continenti africano e americano.In nessun altro caso,se non con la considerazione diell'esistenza di un continente di mezzo si sarebbero potute avere questa concordanza nelle due sponde dell'atlantico.
Interessante la descrizione di Platone sui materiali di costruzione descritti come blocchi di rocce bianche rosse e nere.In proposito il Berget ha rilevato che, appunto alle Canarie, esistono tre categorie di rocce: delle rocce calcaree che sono bianche, e rocce vulcaniche di cui alcune sono nere e altre rosse. Ora,benche rocce di questi colori si possono trovare in molte zone del mondo,è altrettanto vero che rocce della durezza necessarie per le costruzioni siano abbastanza rare.Consideriamolo come un primo piccolo riscontro che la dove ci sono queste rocce Platone ha ubicato Atlantide

La cosa più pietosa al mondo..è l'incapacità della mente umana di mettere in relazione tutti i suoi contenuti.Le scienze,ciascuna della quali tende verso la propria direzione,sinora ci hanno danneggiato in misura esigua; un giorno,però,la riunificazione delle conoscenze frammentate ci aprirà visioni della realtà talmente terrificanti che la rivelazione ci renderà folli oppure fuggiremo dalla letale conoscenza per rifugiarci nella pace e nella sicurezza di una nuova era oscura.By H.P.Lovecraft

Molte volte mi sono chiesto perche oggi non esiste piu una visione "globale" delle cose.Certo che la scienza ha fatto passi da gigante e la specializzazione è diventata quasi un obbligo vista la vastita di ciascun argomento.Cosi facendo si è persa la visione globale e non sappiamo piu collegare i vari sapere.Cosi facendo non si va da nessuna parte e si brancola nel buio di un vasto ma scollegato sapere.
Tornando ad Atlantide penso che probabilmente Platone non immaginava che la sua breve narrazione avrebbe fatto scorrere più inchiostro del suo intero corpus filosofico: circa venticinquemila opere dedicate a una civiltà che, forse, non è neppure esistita,o forse si.
Ma andiamo avanti nella nostra esposizione.

De Mortillet diceva:se Atlantide non è che una leggenda, sarebbe disonesto farne una realtà . Ma in nessun modo il nome di Atlantide appartiene esclusivamente a Platone, e non ne è lui l'inventore. Gli Indiani d'America, che vivevano ben prima di Platone, dicevano di venire da una grande isola chiamata Aztlan; l'hanno scritto dei prìncipi della loro nazione. E se Atlantide non è leggendaria, se non è esclusivamente uscita dal cervello di Platone, non è disonesto servirsi del suo nome per designare un'isola che corrisponde alle specificazioni menzionate da Platone. Non è qui che risiede la malafede, ma piuttosto nel fatto di qualificare di mito, e di mito inverificabile, un racconto che può essere vero e che deve obiettivamente essere supposto vero, come afferma a più riprese il suo autore, fintanto che la falsità non sia stata nettamente dimostrata, ciò che non fanno coloro che relegano Atlantide ad un semplice mito.

Ad oggi non esiste nessuna prova che Platone abbia mentito,come d'altronde non esistono prove della veridicita del suo racconto.Ma indizi si,e molto evidenti.
Ad una conferenza Pierre Terminer diceva:
"Si può sorridere nel leggere la storia di Nettuno e dei suoi amori fecondi, ma non certamente della descrizione geografica dell'isola. Calza bene, questa descrizione, con quella che potremmo immaginare noi oggi di una grande terra emersa nella regione delle Azzorre, che risuona dai tempi antichi e che è appannaggio di quelle isole; terra formata da uno zoccolo di rocce antiche che supportano, con lembi di terreni calcarei di colore bianco, delle montagne vulcaniche estinte e delle colate laviche, nere o rosse, raffreddatesi da lungo tempo. Questa è l'Atlantide di Platone, e questa è, secondo il grande filosofo, la storia di quest'isola, storia favolosa nelle sue origini, come la maggior parte delle storie, estremamente precisa e altamente verosimile nei dettagli della sua tragica fine.....

La scienza infatti sembrerebbe corroborare tale tesi.Se noi potessimo svuotare l'oceano Atlantico vedremmo due grandi depressioni, due vallate enormi che si allungano dal nord verso il sud parallelamente alle due sponde, separate l'una dall'altra da una zona mediana sopraelevata... Lungi dall'essere regolare e a curvatura sferica uniforme, la sua superficie è tutta ammaccata, irta di sporgenze, crivel-lata di cavità, soprattutto nelle regione delle Azzorre, non essendo quelle che chiamiamo Azzorre che le sommità delle protuberanze più alte.

" É certo che in questa visione di insieme dell'oceano asciutto e disseccato, noi osserviamo molte altre cose che sono invisibili ai nostri occhi appesantiti. Vedremo non solo la dispo-sizione longitudinale che ho descritto e che ci è stata rivelata dai sondaggi, ma anche gli accidenti trasversali che non possono non esistere e sui quali, attualmente, sappiamo quasi niente perché i sondaggi non sono ancora abbastanza numerosi... Un giorno verrà in cui le carte dei fondi dell'Atlantico saranno molto più precise e dettagliate; si vedranno allora delle linee di fratture e delle linee di pieghe attraversare il vasto abisso, e correre dall'Europa agli Stati Uniti, o dal Marocco alle Antille, o dal Senegambia al continente sud-americano."

E questo mi sembra che corrisponda alla realta che oggi conosciamo.

« Diamo ora la parola alla geologia... Ecco un primo fatto. La regione orientale dell'Oceano Atlantico è su tutta la sua lunghezza e probabilmente da un polo all'altro, una grande zona vulcanica. Nella depressione che costeggia la costa africana e la costa europea e nella parte orientale della banda sopraelevata che occupa il centro dell'Oceano, i vulcani abbondano. Tutti i pilastri che raggiungono la superficie del mare vi affiorano sotto forma di isole vulcaniche o portano dei vulcani. L'isola Gough, Tristano da Cunha, Sant'Elena, Ascensione, le isole di Capo Verde, le Canarie, la grande Madera e gli isolotti vicini, tutte le Azzorre, l'Islanda, l'isola Jan Mayer sono, o integralmente, o in maggior parte, formate da lave... Un navigatore ha costatato, nel 1838, l'esistenza di un vulcano sottomarino all'equatore, per 22° circa di longitudine ovest, cioè sulla linea che unisce Ascensione con l'arcipelago di Capo Verde: vapori caldi uscivano dalle onde, ed erano nati dei bassofondi, diversi da quelli che indicavano le carte. Nelle isole che ho nominato sopra molti vulcani sono ancora in attività; quelli che sono estinti sembrano estinti ieri; ovunque i terremoti sono frequenti; qua e là degli isolotti sorgono improvvisamente, o degli scogli, conosciuti da lungo tempo, scompaiono. La continuità di questi fenomeni è mascherata dall'oceano, ma, per il geologo, essa è certa... Ora, non vi sono vulcani senza un affondamento, o almeno senza affossamento di qualche pezzo di scorza terrestre... Bisogna dunque che ci sia, nel fondo dell'Atlantico, ancora una certa mobilità, e che la grinza mediana di questo fondo, già sopraelevata, non abbia terminato il suo movimento relativo di ascensione in rap-porto alla depressione orientale... Vi è là, attualmente, una zona instabile della superficie del pianeta, e, in una zona tale, i cataclismi più terribili possono avvenire in qualsiasi istante.
« Ne sono certamente avvenuti, e che non datano che da ieri. Io chiedo a tutti quelli che si preoccupano del problema Atlantide di ascoltare attentamente e di pesare nel loro animo questa breve storia che è molto significativa. Nell'estate del 1898, una nave era impiegata nella posa di un cavo telegrafico sottomarino che lega Brest a Capo Cod. Il cavo si era spezzato, e si cercò di ripescarlo con degli uncini. Si era a 47°0' di latitudine nord e 29°40' di longitudine a ovest di Parigi, a 500 miglia circa a nord delle isole Azzorre. La profondità media era di circa 1700 braccia, o 3100 metri. Il prelievo del cavo presentava grandi difficoltà, e furono necessari diversi giorni per spostare i ganci sul fondo. Si constatò questo: il fondo del mare, in questi paraggi, presenta le caratteristiche di un paese montagnoso, con alte sommità, pendenze dure e profonde vallate. Le cime sono rocciose e il fango si trova solo nel fondo delle vallate. Il gancio, percorrendo questa superficie così tortuosa, si impigliava costantemente su delle rocce a punte dure e creste vive; esso torna-va quasi sempre rotto o tòrto, e i tronconi recuperati portavano grosse e larghe strie e tracce di violenta e rapida usura. A più riprese si trovarono tra i denti del gancio delle piccole schegge minerali, aventi l'aspetto di frammenti spezzati recentemente. Tutte queste scaglie appartenevano allo stesso genere di rocce. Il parere unanime degli ingegneri che assistevano al dragaggio fu che le scaglie in questione erano state staccate da una roccia nuda, di un vero affioramento acuminato e angoloso. La regione da cui provenivano le scaglie era d'altronde precisamente quella dove i sondaggi avevano rivelato le più alte vet-te sottomarine e l'assenza quasi completa di melma. Le schegge così estirpate dagli affioramenti rocciosi del fondo dell'Atlantico, sono di una lava vetrosa, della composizione chimica dei basalti ed è chiamata trachilite dai petrògrafi. Noi conserviamo alcuni di questi preziosi frammenti al museo della Scuola Mineraria di Parigi. Il fatto è stato segnalato nel 1899 all'Accademia delle Scienze. Pochi geologi ne compresero, allora, la grande portata. Una tale lava, interamente vetrosa, comparabile a certi vetri basaltici dei vulcani delle isole Sandwich, non ha potuto consolidarsi in quel modo che sotto la pressione atmosferica. Sotto molte atmosfere, e a maggior ragione sotto 3000 m. d'acqua, si sarebbe certamente cristallizzata. Ci appare formata da cristalli incastrati in luogo di essere fatta unicamente di materia colloidale. Gli studi più recenti non lasciano in merito alcun dubbio, e io mi accontenterò di ricordare l'osservazione di M. Lacroix sulle lave della Montagna Pelè della Martinica; vetrose quando si rapprendono all'aria libera, queste lave si riempiono di cristalli quando si raffreddano sotto un manto, anche poco spesso, di rocce anteriormente solidificate. La terra che costituisce oggi il fondo dell'Atlantico a 900 km. a nord delle Azzorre, è dunque stata ricoperta di colate di lava quando era ancora emersa. Essa si è di conseguenza affondata, scendendo di 3000 metri; e siccome la superficie delle rocce conserva l'andatura tormentata, le rudi asperità, gli arresti vivi delle colate laviche molto recenti, bisogna che l'affondamento abbia seguito molto da vicino l'emissione delle lave, e che questo affondamento sia stato brusco. Senza ciò, l'erosione atmosferica e l'abrasione marina avrebbero livellato le ineguaglianze e appianato ogni superficie. Continuiamo il ragionamento. Siamo qui sulla linea che unisce l'Islanda alle Azzorre; in piena regione vulcanica atlantica, in piena zona di mobilità, di instabilità e di vulcanismo attuale. Conclusione necessaria: tutta una regione a nord delle Azzorre, comprendente forse le Azzorre e di cui queste isole, in questo caso, non sarebbero che i resti visibili, si è affondata molto recentemente, probabilmente nell'epoca che i geologi chiamano "attuale", tanto è recente, e che per noi, i viventi di oggi, è qualcosa come ieri.
« Se ricordate ora ciò che dicevo poco fa circa l'ineguaglianza estrema dei fondi a sud e a sud-ovest delle Azzorre, penserete con me che un dragaggio minuzioso darebbe, a sud e a sud-ovest di queste isole, gli stessi risultati che hanno dato, a nord, le operazioni di ripescaggio del cavo telegrafico. E di fronte ai vostri occhi si ingrandirà allora, quasi smisuratamente, la regione affondata, la regione che si è bruscamente inabissata ieri, e di cui le Azzorre non sono più che le testimoni, sfuggite al crollo generale.
« Ma ecco altri fatti, sempre di ordine geologico. L'abisso atlantico, quasi interamente, sembra essere di data relativamente recente, e, prima dell'affondamento della regione azzorriana, altri sprofondamenti vi si erano prodotti, la cui ampiezza, più facilmente misurabile, confonde l'immaginazione... Noi abbiamo acquisito la certezza dell'esistenza di un antichissimo legame continentale tra il nord Europa e il nord America, e di un altro legame continentale, anch'esso molto antico, tra il blocco africano e l'America del sud.»

Arrivando alla conclusione:

« Certezza dell'avvenimento di immensi affondamenti in cui delle isole, ed anche dei conti-nenti, sono scomparsi; certezza che alcuni di questi affondamenti datano da ieri, sono di epoca quaternaria e hanno potuto, di conseguenza, essere visti dall'uomo; certezza che alcuni sono stati improvvisi, o quantomeno molto rapidi. C'è di che incoraggiare quelli che si fidano ancora del racconto di Platone. Geologicamente parlando, la storia platoniana dell'Atlantide è estremamente verosimile.

orso in piedi

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view post Posted on 18/2/2011, 21:26

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L abate Moreux nel suo " L'Atlantide a-t-elle existé?"dichiara « Come tutte le leggende, quella di Atlanti-de deve avere un fondamento. Un cataclisma così terribile non ha potuto verificarsi senza che l'umanità ne abbia conservato il ricordo, ed è su questa tradizione trasmessa di età in età che Platone, dopo i preti egiziani, ha dovuto ricamare la sua storia.
« Ciò che bisogna ritenere, a mio parere, non sono né le usanze degli Atlantidi, né le descri-zioni delle loro città, dei loro monumenti, dei loro palazzi, né le istituzioni che Platone ha immaginato di sana pianta per esporre le sue viste filosofiche e le sue idee su una Repubblica ideale; non bisogna conservare che il fondo del racconto, il suo pretesto per filosofeggiare e niente altro.
« Scientificamente, io penso, il dubbio non dovrebbe essere permesso; sì, Atlantide è esistita; essa era certamente, all'aurora dei tempi quaternari, là dove Platone l'ha situata, in quella regione dove si urtano le due grandi spaccature atlantiche e mediterranee, una delle parti più instabili del nostro pianeta; e una sera in cui la terra era scossa da grandi fremiti, questa contrada inospitale è affondata improvvisamente, e il mare... l'ha seppellita per sempre".

Questo secondo me è il modo giusto di ragionare.Andiamo avanti con gli indizi.

Nel suo "Rapports de l'Amérique et de l'Ancien Continent" Paul Gaffarel scrive:

« Nel periodo antistorico, i popoli che abitavano le due rive dell'Atlantico, avevano già stabilito delle relazioni tra loro? Non ne abbiamo alcuna prova materiale; ciò che ci porta a crederlo è che, allora, la distanza tra i due continenti era singolarmente ravvicinata dall'interposizione di un'isola oggi sparita, della quale la tradizione ha perpetuato il ricordo, e di cui la scienza prova la realtà. Voglio parlare di quella famosa Atlantide che sarebbe da tempo dimenticata se fosse stata so-lo una fantasia della brillante immaginazione di Platone, mentre ha conservato il raro privilegio di interessare sempre, e talvolta di appassionare, quelli che se ne occupano.
« Atlantide, è proprio esistita? Ci sono tre opinioni. Quelli che negano l'esistenza di Atlantide; quelli che la mettono in dubbio; altri che vi credono... Dopo quelli che dubitano, passiamo a quelli che credono: il loro numero è considerevole. A malapena potremmo menzionare nell'antichità alcuni increduli. Quasi tutti gli altri scrittori non mettono un so-lo istante in dubbio l'esistenza di questo continente scomparso... Ma è soprattutto nei tempi moderni, nel momento in cui furono di nuovo agitate in Europa le questioni che un tem-po avevano occupato l'antichità, che questa opinione incontra numerosi partigiani... I partigiani di Atlantide sono dunque numerosi, ma le loro ragioni sono sovente poco serie, e prestano il fianco alle obiezioni dei loro avversari... Cosa c'è dunque di più semplice che attenersi al testo stesso di Platone? Una grande isola esisteva: essa è sparita. Questo fe-nomeno, è dunque possibile secondo i dati della scienza moderna?
« Quando la terra si formava, in quei periodi che la geologia designa con il nome di: primitivo, transitorio, secondario e terziario, improvvisi cataclismi, analoghi a quello che fece sparire Atlantide, dovevano sovente sconvolgere la faccia del globo... Questi fenomeni, è vero, non provano la sparizione di Atlantide. Ma si può citarne altri, dell'antichità, che hanno con questi una grande analogia: città che sprofondano, isole che si inabissano, porzioni di continenti che spariscono. Così l'Acarnania e l'Acaia sono coperte quasi interamente dalle acque dei golfi di Ambrasie e di Corinto. La Propontide e il Ponto-Eusino sommergono vaste pianure in Europa e in Asia. Talvolta il mare si scava un cammino attraverso l'Ellesponto e i Bosfori di Tracia e della Chersonèse cìmbrica o tàurica; talaltra esso separa la Sicilia dall'Italia, Cipro dalla Siria, Eubéa dalla Beozia, dove ha inghiottito Pirra e Aulissa, Hélia e Bura nel golfo di Corinto, la maggior parte dell'isola di Cos e la metà di Tindasi, in Sicilia. Qualche volta infine, è al centro delle terre che affondano il monte Cybotus e la città di Curète, come pure Sipylus di Magnésia... Tutti questi fenomeni si sono prodotti nell'epoca storica; sono anche tutti provati, come l'affondamento, nel VI° secolo della nostra èra, della città di Herbadilla che oggi è ricoperta dal lago Grand Lieu, o come la sparizione sott'acqua, nel 1819, su un'estensione di 84 leghe quadrate, della piana di Sindréa, alle bocche dell'Indo... Non è dunque contrario alle regole della critica supporre che un cataclisma simile possa aver fatto sparire un'isola, o quantomeno una parte di essa, di cui si è potuto esagerare la grandezza... Un tale sconvolgimento non si è compiuto all'epoca storica. Platone stesso ne fissa la data a 9000 anni prima. Ma questa non è una ragione per negarlo.
« Se dunque Atlantide è esistita, dov'era situata? É qui che le opinioni più contraddittorie e i sistemi più bizzarri sono di fronte... Se noi rimarchiamo che il Mediterraneo è un mare chiuso e simile a un porto, e che, per uno stretto, da sempre conosciuto come Colonne d'Ercole, esso comunica con un grande mare che altri non è che l'Atlantico, avremo la migliore e la più naturale delle spiegazioni. Cerchiamo nell'Atlantico la posizione della grande isola sommersa un tempo attorniata da altre isole; la troveremo tra il mar delle An-tille e il golfo del Messico che portano ancora le tracce di sconvolgimenti geologici di origine relativamente moderna, forse anche fino alle Azzorre, che sarebbero allora gli ultimi resti di Atlantide. Infine, il continente al quale si poteva facilmente abbordare, parlando della grande isola, non è l'America?
« La geologia è una delle scienze naturali i cui progressi, dall'inizio del secolo, sono stati i più marcati... Ora, uno dei princìpi meglio fondati è che, ogni volta che si scopre, negli strati di isole o di continenti, separati oggi da bracci di mare, e sottomessi ad altre condi-zioni climatologiche, gli stessi resti di piante e di animali, si può legittimamente concludere che queste contrade erano un tempo riunite... Così come l'Europa e l'America erano unite in tempi preistorici... Esisteva dunque allora un istmo, un'isola o un continente, che facili-tava le comunicazioni tra l'Europa e l'America. Jules Marcou ha cercato di determinare i contorni di questo continente affossato sotto le acque, e noi possiamo ricostruirlo col pensiero. Poniamo gli occhi sulle belle carte tedesche dell'Oceano, edite da Berghaus o Stieler, dove le diverse profondità sono indicate con delle tinte più o meno chiare: un esame superficiale, un semplice colpo d'occhio ci mostrano un vasto continente, appena ricoperto dalle acque, e determinato dalle Azzorre, Canarie e Antille. Questo continente è contorna-to da un fiume marittimo, il "Golfo Stream", che bagna le sue coste. Non era forse là il sito di Atlantide?
« Rimarchiamo subito che il mar delle Antille e le coste circonvicine hanno conservato le tracce di un gigantesco sconvolgimento che modificò l'aspetto di questa parte del continente americano in un'epoca relativamente moderna. Già Colombo aveva notato che Trinità e le isole adiacenti avevano dovuto un tempo far parte del continente... Ciò che d'altronde sembrerebbe provare la formazione recente di tutti quei terreni, è la rapidità dell'accre-scimento della temperatura indicato dal minor spessore degli strati terrestri. Ordinaria-mente, la temperatura aumenta di un grado ogni trenta metri di profondità; sulla costa del-la Colombia e nelle Antille, di un grado ogni dodici o quindici metri.
« Trasportiamoci sugli altri arcipelaghi che ancora sussistono in mezzo al mare come ultimi testimoni dell'affondamento di Atlantide. Tutte queste isole sono soggette a delle convulsioni vulcaniche... Canarie, Azzorre... É dunque possibile che esse siano i resti di antiche catene di montagne. Dalle coste passiamo all'Oceano: al largo delle Caroline (Stati Uniti) e della Florida, nel gennaio 1857, vi fu un'immensa irruzione di acqua dolce. Delle correnti fangose e giallastre solcarono l'Oceano, e migliaia di pesci morti furono deposti sulle spiagge. In pieno mare, la salinità si dimezzò, e i pescatori vi attinsero per un mese dell'acqua potabile. Esiste dunque in quel luogo, molto probabilmente, una terra sommer-sa, che talvolta è ancora agitata da movimenti convulsivi.... Ci è dunque permesso avanza-re che l'Oceano stesso, così come le coste americane e gli arcipelaghi, hanno conservato le tracce del cataclisma che fece sparire Atlantide...
« Anche le tradizioni americane ci forniscono nuove prove della realtà di Atlantide. Secondo gli isolani, che lo raccontarono agli spagnoli all'epoca della conquista, tutte le Antille avrebbero un tempo formato un solo continente, ma ne furono subitaneamente separate dall'azione delle acque. Il ricordo di questa convulsione geologica si è perpetuato attraverso gli anni, e sempre l'acqua gioca il ruolo dell'elemento distruttore. Così i Floridiani raccontano che il sole ritardò la sua corsa di 24 ore e che le acque del lago Théomi, debordate, coprirono tutto, salvo una montagna dove si rifugiarono i soli uomini che furono salvati. I californiani parlano di un'inondazione generale portata dalla collera del dio Tchling. Secondo il ricordo dei Caraìbici, fu un'inondazione marittima a formare le marne, le faglie, le scarpate che si vedono nelle Antille. Gli Irochi dicono che la terra fu inondata da un grande lago. Uguali ricordi si ritrovano tra gli abitanti della terraferma e della Castiglia d'Oro. Una leggenda haitiana, riferita da fratel Romain Pane, attribuisce sempre a un'inondazione subitanea la formazione delle Antille. Le popolazioni dell'Orinoco designavano questo cataclisma sotto il nome di "catenamanoa", che vuol dire "sommersione del grande lago". Infine, ecco in che termini impressionanti i Quichés, cioè gli abitanti primitivi dell'America Centrale, raccontano questa spaventosa inondazione: "Allora le acque furono gonfiate dalla volontà del cuore del cielo e si verificò una grande inondazione che venne al disopra delle teste di quegli esseri. Essi furono inondati e una resina spessa discese dal cielo... La faccia della terra si oscurò e cominciò una pioggia tenebrosa: piog-gia di giorno, pioggia di notte, e c'era un grande rumore di fuoco sopra le teste. Allora si videro gli uomini correre, spingersi, disperarsi; essi volevano salire sulle case, ma le case crollavano facendoli cadere a terra; volevano arrampicarsi sugli alberi, e gli alberi li scuotevano lontano da loro; volevano entrare nelle grotte, e le grotte si chiudevano davanti a loro...". Così dunque, ovunque lo stesso racconto. Le acque escono dal loro letto e invadono i continenti, già scossi da spaventosi terremoti. I popoli spariscono, le città sono in-ghiottite, e di queste città e di questi popoli non restano più che vaghi ricordi.
« Questa tradizione di Atlantide, ben prima di Platone, era popolare ad Atene. Nella festa dei piccoli Panateniesi si portava in processione, sembra, un péplum ricamato in cui si ve-deva come gli antichi ateniesi, allevati e sostenuti da Minerva, avevano avuto la meglio nella guerra contro gli Atlantidi. Gli abitanti delle isole dell'Oceano, secondo Marcello, conservavano anche il ricordo dei re Atlantidi e della loro formidabile potenza; il che sembrerebbe indicare che la credenza ad Atlantide si era perpetuata nella tradizione e mante-nuta nel culto.
« Alcuni frammenti di quest'isola si sono... mantenuti fino ai nostri giorni, e i discendenti degli antichi atlantidi vi si sono conservati. Li possiamo studiare, soprattutto alle Canarie, nei Guanci... Ma basta percorrere gli scritti dei primi navigatori, e soprattutto la storia della prima scoperta e conquista delle isole Canarie, fatta nel 1402 da Jehan de Bèthencourt, per convincersi dell'originalità tipica dei Guanci. Il colore della loro pelle era bru-no e non avevano la barba. La loro lingua non assomigliava a nessun idioma conosciuto. L'uso dei geroglifici e dei segni astronomici, il rispetto per i morti e la loro imbalsamazio-ne, la forma piramidale impiegata per le tombe e i monumenti pubblici, l'istituzione delle vergini sacre, gli onori resi all'agricoltura, la passione per il canto e la musica, il gusto per la danza e per gli esercizi del corpo eseguiti con pompa negli esercizi pubblici, tutto sembra indicare che i Guanci fossero i discendenti di una nazione più istruita, di un popolo più numeroso e più illuminato...
« Gli Atlantidi, sarebbero gli antenati degli egiziani? . Tutto ci porta a crederlo: tratti del viso, costumi, monumenti sparsi sui due continenti, attrezzi di vita comune, cerimonie e tradizioni religiose. Gli americani d'oggi presentano con gli egiziani di un tempo strane rassomiglianze esteriori che richiamano l'attenzione, anche se non possono darcene la certezza. "Mi è stato impossibile, scrive M. de Castelnau, esaminare le belle copie delle pitture egiziane che possiede il Museo britannico, senza essere colpito dall'estrema rassomiglianza che avevano molte figure che vi sono rappresentate con gli indiani del Nuovo Mondo in mezzo ai quali ho vissuto molti anni. Il miglior pittore non potrebbe disegnare con più esattezza i selvaggi dell'America del sud di quanto non l'abbiano fatto gli abili costruttori di Tebe". In effetti, le tavole colorate che accompagnano l'opera dell'eminente viaggiatore, ci forniscono vari tipi che si crederebbe ricalcati sui bassorilievi di Medinet-Abou o di Karnack: così i guerrieri Apinages assomigliano alla perfezione agli arcieri di Tebe ed ai colossi di Ipsamboul. I tratti della figura sono simili, gli occhi socchiusi e rilevati agli angoli esterni, i capelli acconciati allo stesso modo, le spalle e il petto larghi, i piedi e le mani in generale piccoli, le forme arrotondate e pochi muscoli evidenti. Altri viaggiatori hanno costatato questa somiglianza.
« Le abitudini del corpo si sono mantenute identiche: così gli americani tendono il loro arco, come si vede nei geroglifici egiziani, appoggiandolo sulla gamba. Le armi sono le stesse... L'uso non è cambiato... e tutti sanno che la persistenza del costume è il miglior indice della continuità della razza.
« Gli egiziani avevano adottato un calendario di 365 giorni (di cui) 5 giorni epagomeni...
In Messico, l'anno si componeva di 365 giorni, divisi in 18 mesi di 20 giorni più 5 giorni complementari... Se studiamo il culto reso ai morti, lo vediamo identico nei due paesi... Esiste un'analogia che colpisce ancor di più... le piramidi. Gli altri monumenti americani ed egiziani presentano ancora curiose similitudini. Queste similitudini si ritrovano anche nei piccoli oggetti d'arte egiziani e americani.»

orso in piedi
 
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view post Posted on 21/2/2011, 13:01

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Piccola considerazione:Le Canarie facevano parte di Atlantide?

http://upload.wikimedia.org/wikipedia/comm...%ADmar_BW_1.JPG

Chi le ha fatte e quando?Interessanti vero?Considerando che secondo quanto riportato da Plinio il Vecchio , le Canarie erano disabitate all'epoca del navigatore Annone (ca. 600 aC ), ma contenevano le Rovine di Grandi Edifici. :rolleyes:

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Ma andiamo avanti

Nel suo "Handbuch der regionalen geologie, 14 Heft, Afrique Occidentale", Paul Lemoine scrive:

« Sono anche i dati di ordine biogeografico che permettono di affrontare la questione di Atlantide e delle sue relazioni possibili con l'Africa occidentale... Questa questione è stata molto controversa, ma sembra ora che l'esistenza di Atlantide sia quasi universalmente ammessa dagli zoologi e dai geologi. Germain e Gentil sono d'accordo, e la divisione tra loro è solo sull'epoca del periodo quaternario nel quale si è prodotto l'affondamento. Gli argomenti invocati risiedono soprattutto nell'esistenza, alle Canarie e alle isole del Capo Verde, di conchiglie terrestri e di piante la cui origine africana non lascia dubbio.» E aggiunge: « É probabile che in un'epoca che è difficile da determinare, ma che deve essere relativamente recente, l'Africa occidentale si estendesse verso ovest più che attualmente, e fosse riunita in un modo più o meno intimo a delle terre più o meno continue che la leggenda designa sotto il nome di Atlantide.»
Da Lemoine ancora questa interessante informazione: « Risulta dai documenti raccolti da Dereins, nel corso della missione Blanchet nel 1900, e studiati da Dollfus, così come dalle esplorazioni più recenti di Chudeau, che un golfo quaternario, fino ad un'epoca forse molto recente, ha occupato la Mauritania e vi ha deposto dei sedimenti marini, sovente molto fossiliferi, formatisi a una debole profondità... che si estendono fino a 150 Km nell'interno delle terre, e si elevano fino a 55 metri di altitudine. La fauna è nettamente litorale, poco profonda, caratteristica di un fondo sabbioso. Secondo Dollfus, essa è meno brillante della fauna attuale e appartiene certamente ad un'epoca anteriore alla nostra. Essa sarebbe comparabile, come età, a quella delle spiagge sopraelevate dell'Algeria e del circuito del Mediterraneo, e corrisponderebbe al periodo di raffreddamento del Pleistocene. Questa fauna comprende un gran numero di specie comuni con la fauna che è apparsa nei mari europei all'epoca aquitaniana... É da notare che 10 specie su 60 hanno delle analogie americane e mostrano una comunicazione temporanea che si sarebbe fatta, forse con una catena di isole piuttosto che con un continente proprio, e che fa pensare (dice Dollfus) a un'Atlantide che non sarebbe esistita al Miocene, e che si sarebbe rotta nel Pliocene superiore... Senegal... Depositi pleistoceni e recenti... La coesistenza della maggior parte di queste faune con oggetti quali i cocci di ceramica più o meno arrotolati, attestanti un'indu-stria umana vicina all'industria attuale degli indigeni senegalesi, farebbe pensare che le antiche spiagge della penisola del Capo Verde debbano essere classificate nel quaternario, e che è anche possibile che siano state formate nei tempi storici.»

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Edited by orso in piedi - 5/4/2011, 22:51
 
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Il colonnello Braghine nel''L'énigme de l'Atlantide, (Payot, Parigi, 1939)''scrive:

« Fino a una data relativamente recente, la scienza ufficiale non ha avuto che sprezzo per la leggenda di Atlantide. Se i geologi consentivano a menzionare l'esistenza, in una certa epoca, del continente situato tra l'Europa e l'America, essi lo facevano risalire ad un'età molto anteriore, separata dalla nostra da molti milioni di anni... Improvvisamente le ricerche e le scoperte effettuate da alcuni specialisti, per lo più archeologi, nel corso di questi ultimi anni, hanno mostrato che non era sragionevole supporre che ha potuto esistere nell'Oceano Atlantico, in un'epo-ca relativamente vicina alla nostra, un grande centro di civiltà preistorica sconosciuto fino ad allora.
« Il maggiore Lind, che si è specializzato nello studio del folclore dei pellerossa, ha incontrato nel Dakota e nello Iowa, una leggenda indiana secondo la quale tutte le tribù indiane abitavano un tempo un'isola situata a oriente e formavano un'unica nazione. Un giorno, esse costruirono una nave di forma particolare sulla quale, dopo una navigazione di alcune settimane, raggiunsero le rive dell'America. Sembra tuttavia che questa leggenda contenga [sic] almeno un errore, le differenze nel colore della pelle delle differenti tribù sono troppo marcate perché abbiano potuto formare una sola nazione... Mentre i Meuoniani, i Dacoits, gli Zini e alcuni altri, hanno la pelle quasi bianca, i Curo del Kansas e gli Indiani di California... sono di colore molto scuro, e tra questi due estremi noi troviamo delle persone rosso bruciato, altre di colore olivastro, altre giallo vivo o anche di color bronzeo. Il professor Retzins considera che tutti gli indiani dolicocefali delle più antiche tribù d'America sono i più vicini parenti dei Guanci delle isole Canarie e delle razze che abitano sulle rive africane dell'Atlantico. Tutte le razze che abbiamo citato hanno, così come i Caraibici dolicocefali, la pelle rossobruno. É interessante ricordare a questo proposito che gli uomini della misteriosa tribù dei Masinti, figurati sugli antichi affreschi egiziani, sono rappresentati con lo stesso colore di pelle. D'altra parte, si incontrano talvolta in Venezuela, nella penisola di Darieu, degli indiani bianchi; essi hanno i capelli chiari e gli occhi blu... Gli antichi Peruviani avevano i capelli castano chiaro. I Quiches del Guatemala possedevano, secondo la storia della loro tribù, un documento molto curioso che risale ad una altissima antichità: è il celebre "Codex Popul-Vuh", scoperto nel 1854 dal Dr. Scherzer... Il Popul-Vuh dichiara che gli antenati dei Quiches sono venuti molto tempo fa da un paese situato molto a est, in pieno oceano... Il Codex parla di questo misterioso paese d'Oriente come di un vero paradiso: bianchi e neri vi vivevano in pace come fratelli e parlavano la stessa lingua. Più oltre, il Popul-Vuh riferisce che il dio Huracan, irritato contro l'umanità, ha voluto annegare la terra sotto un diluvio; nello stesso tempo, si produsse nel cielo un immenso incendio.»

A proposito dei Guanci,i primi abitanti trovati alle Canarie prosegue:

« Quando gli europei sbarcarono per la prima volta alle isole Canarie, si trovarono in presenza di indigeni stranieri che si chiamavano Guanci, parola che vuol dire uomo. I Guanci furono molto stupiti di vedere dei bianchi, giacché si credevano i soli sopravvissuti dell'umanità che avevano potuto sfuggire alla terribile catastrofe che, millenni prima, aveva annientato l'umanità intera. Si trattava di una terribile inondazione che aveva invaso tutto il paese e da cui qualcuno dei loro antenati aveva potuto salvarsi rifugiandosi in cima alle montagne, la cui parte superiore, che costituisce ancora oggi l'arcipelago delle Canarie, superava il livello massimo delle acque. Si poteva nettamente distinguere tra questi misteriosi aborigeni due tipi distinti: l'uno, francamente bianco e di taglia elevata, l'altro, di taglia piuttosto al di sotto della media e con la pelle sensibilmente più bruna. I Guanci erano imberbi e portavano i capelli lunghi come gli indiani. Gli archeologi hanno trovato alle Canarie numerosi resti antichi. Sull'isola grande, per esempio, è stata scoperta una stazione di uomini delle caverne, installata su numerosi strati di grotte sovrapposte che gli indigeni chiamano Atalaya. Notiamo di sfuggita che, vicino a Biarritz, nel paese basco, esiste un tumulus con lo stesso nome. Uno scrittore francese, Luc Durtain, che ha visitato Atalaya nel corso di un viaggio alle Canarie, riferisce che ancora oggi si fanno nel paese dei vasi di argilla che assomigliano molto ai vasi degli indiani dell'America precolombiana... Nei dintorni di Villa-Rica (Chili), sulla montagna di Hitirusu, esiste una galleria sotterranea i cui muri sono coperti da ideogrammi rassomiglianti ai caratteri runici scandinavi.»

In una belissima disamina di testi indiani sud Americani Fortunato Pavisi scrive:

".....Naturalmente il ricordo dell’Atlantide non è rimasto soltanto nelle fiabe degli Indiani, ma anche nei loro riti religiosi e nei loro testi storici. Questi testi storici e i libri sacri venivano custoditi dai collegi sacerdotali, che, presso tutti i popoli dell’America, erano anche gli amministratori del sapere e i rettori delle università. Diciamo solo di sfuggita che nelle scuole sacerdotali venivano insegnate ai giovani non solo le scienze spirituali e sacre, ma anche le scienze applicate, come la matematica, la storia, la geografia, il diritto, il cerimoniale di corte, la diplomazia, la strategia. Le fanciulle venivano educate in speciali conventi di sacerdotesse, cosí che l’istruzione era generale e diffusa presso tutti i ceti della popolazione. Nessun popolo dell’antichità ebbe tanti libri e tante biblioteche quanti ne esistevano, per esempio, presso i Maya dello Yucatan.
I conquistadores spagnoli distrussero tutte le biblioteche e incendiarono tutti i libri con feroce fanatismo religioso. La grandiosa biblioteca reale di Tezcuco, contenente decine di migliaia di opere, fu distrutta per ordine del primo vescovo del Messico. Si salvarono soltanto due opere – il Codice troano e il Codice velletreuse che un soldato si mise in saccoccia per pura curiosità. In tutto lo Yucatan, i libri che si trovavano nelle biblioteche e nelle case private furono portati in mezzo alle piazze e bruciati in enormi falò. Gli abitanti assistevano ai roghi con volti inondati di lacrime. Erostrato passò alla storia per avere incendiato il tempio di Diana. Anche noi, ad onta perpetua, vogliamo ricordare il nome di colui che avvolse in una sola fiamma distruttrice tutta l’America centrale: il vescovo don Diego de Landa.
Pochi testi ci sono dunque rimasti per attestarci la grande e fiorente civiltà dei popoli abitatori delle Americhe. Da questi testi sono ricavate le notizie che seguono.
Il 12 Yuzcatli (30 gennaio) ogni quattro anni venivano commemorate con cerimonie religiose le tre volte in cui il mondo era stato distrutto. A ricordo di queste tre sciagure, a quell’epoca dell’anno, si digiunava per otto giorni.
A questo proposito citiamo che i sacerdoti messicani dividevano in quattro cicli, o Soli, la storia dei rivolgimenti del globo.

1° ciclo o Tlatonitiuh – età della terra, corrispondente all’epoca polare della Scienza dello Spirito.
2° ciclo o Tietonatiuh – età dell’aria, corrispondente all’epoca iperborea.
3° ciclo o Ehecatonatiuh – età del fuoco, corrispondente all’epoca lemurica.
4° ciclo o Atonatiuh – età dell’acqua, corrispondente all’epoca atlantica.

Nel Codice Chimalpopoca, che contiene “La storia dei Soli”, sono descritti i quattro grandi cataclismi terrestri. Leggo alcuni brani che riguardano la distruzione della Lemuria.
«Durante la terza epoca chiamata Quiahtonatiuh (Sole di pioggia di fuoco) cominciò a cadere dal cielo una pioggia di fuoco ...ed in un sol giorno tutto fu distrutto. E nel giorno del dolore, detto Chicometecpatl, si consumò tutto ciò che esisteva della nostra carne. ...E mentre la pioggia di lapilli si estendeva, la terra cominciò a ribollire e le pietre si fecero di colore vermiglio».
La sommersione dell’Atlantide, Aztlan nel linguaggio azteco, veniva invece commemorata ogni anno in una festa religiosa speciale detta Atemotzli. Nel Popol-Vuh, o Libro Sacro dei Quichi del Guatemala, si trova una drammatica descrizione del diluvio che sommerse l’Atlantide.
«Nel giorno stabilito dalla volontà divina, le acque cominciarono a gonfiarsi e a crescere. Il cielo si sciolse e una spessa resina si posò sulle campagne. La terra s’oscurò e la pioggia continuò a cadere ininterrotta: pioggia di giorno, pioggia di notte. Si sentiva un continuo crepitare sulle pareti delle case. Ben presto la grande inondazione giunse al di sopra delle teste degli uomini. Allora si videro gli uomini correre, spingendosi, pieni di disperazione; volevano salire sui tetti delle case e le case crollando li facevano ricadere a terra; volevano arrampicarsi sugli alberi e gli alberi si sradicavano e li trascinavano via; volevano ripararsi nelle grotte e le grotte si chiudevano e li inghiottivano...».
Un’analoga descrizione la troviamo nel già menzionato Codice troano, conservato nel Museo Britannico e tradotto dal Plogeon.
«Nell’anno 6 del Kan, l’11 Muluc, nel mese di Zac, la terra fu scossa da terribili terremoti che continuarono senza interruzione sino al 13 del mese Chuen. La contrada delle colline d’argilla, il paese di Ma, fu la prima ad essere sacrificata. Dopo essere stata sconvolta in due riprese, scomparve improvvisamente durante la notte. Il suolo oscillava come un mare in tempesta poiché cedette del tutto. Si formarono enormi crepacci che separarono le terre le une dalle altre. Ciò avvenne 8.060 anni prima della composizione di questo libro».
Nella lingua Maya dello Yucatan si chiama epoca Hun-Jecil (sommersione delle foreste) quel tempo in cui la Terra fu contemporaneamente invasa dalle acque e scossa dagli sconvolgimenti vulcanici.
Roger Dévigne ci fa sapere che «i Peruviani raccontano che il diluvio e lo sconvolgimento seguito all’emergere delle Ande sopravvennero in seguito ad una straordinaria eclissi di Sole durante la quale ogni luce scomparve per cinque giorni».
In tutte queste tradizioni, sia scritte che orali, ci colpisce la precisione dei particolari e l’esattezza scientifica. Perciò non ci possono essere dubbi sul valore obiettivo della loro testimonianza. I popoli delle Americhe conservarono non solo il ricordo dell’Atlantide, ma anche usi, costumi, cerimonie religiose.
www.larchetipo.com/2005/dic05/chacmool.jpg
Nella valle d’Anahuac si estendeva il piú grande cimitero del Messico. Gli Aztechi lo chiamano Micaotli, la via dei morti. Nel mezzo del cimitero si elevavano due gigantesche piramidi, quella del Sole e quella della Luna. Otto viali d’accesso attraversavano tutta la valle dei morti e terminavano di fronte alle facce delle grandi piramidi. Tutt’intorno i tumuli, secondo la disposizione degli astri. Ogni tumulo era alto dieci metri ed era costruito in forma di piramide. Ogni piramide raccoglieva i morti di una famiglia per piú generazioni. I morti venivano posti uno accanto all’altro e uno sopra all’altro, separati da strati di terra.
L’usanza della piramide mortuaria proviene dall’Atlantide. Gli Atlanti innalzarono questi monumenti funebri dovunque posero piede. Anche gli Etruschi costruirono piramidi, e i Latini ne poterono ancora vedere qualcuna a Porsenna. Che cosa è una piramide? Il termine azteco Micaotli è il piú giusto: la via dei morti. La piramide s’innalza verso gli astri perdendo sempre piú della sua ponderabilità. Cosí è delle anime umane, che, attraversando il Kamaloka, si spogliano giorno per giorno dei gravami terrestri.
Sulle piramidi mortuarie messicane e peruviane si vede scolpito il Fiore del Loto “Chiave di Osiride”: un Tau con sovrapposto un cerchio. Come il Loto, sorgendo dal fango e attraversando le acque, sboccia appena giunge alla luce del sole, cosí l’anima, partita dalla terra e passata attraverso il Kamaloka, festeggia la sua fioritura nei mondi spirituali.
L’Atlantide è scomparsa. Gli ultimi discendenti degli Atlanti sono ora relegati in poche riserve, come selvaggina che sta esaurendosi. Siedono all’ombra dei wigwam, le loro strane tende, costruendo frecce e intrecciando canestri.
Un giorno un cacciatore canadese si sedette vicino a un vecchio pellerossa e gli disse: «I vostri giovani corrono veloci per miglia e miglia senza provare stanchezza. I nostri fisiologi, che pur sono uomini di grande sapere, non sanno spiegarsi questo fenomeno che va contro le leggi della vita. Tu che cosa sapresti dirmi?».
Il vecchio rispose: «La nostra forza e la nostra grandezza sono tramontate da un pezzo. Siamo diventati piccoli di statura e abbiamo perduto le nostre forze. Per i nostri avi sarebbe stato facile attraversare di corsa tutto un continente. Le loro forze erano sempre fresche come l’acqua. Anche gli animali in quei tempi erano diversi, molto piú grandi e forti di ora. Il castoro e lo scoiattolo erano potentissimi e ci hanno insegnato a costruire sull’acqua e a vivere sugli alberi. Il nostro piú grande amico era il coniglio. Il coniglio era un animale bellissimo: grande, forte, coperto di ricca pelliccia, gentile e fedele. Ci veniva sempre appresso e ci serviva da guida nelle immense foreste. Ora tutto è finito. Noi stiamo spegnendoci lentamente come la brace del fuoco».
In queste parole risuona il senso della fatalità. Questo stesso senso di fatalità pervade le parole di Montezuma. Egli disse a Cortez: «Sapevo che tu dovevi venire. L’ho letto nelle stelle. Il tempo stabilito dagli dèi è giunto e le profezie sono compiute».
Cortez aveva con sé cinquecento uomini, dodici archibugi, tre bocche da fuoco, sedici cavalli. Con questi mezzi in poco tempo ridusse in cenere un grande e civile impero. Nessuno degli Aztechi si difese; tutti si lasciavano trucidare senza opporre resistenza.
L’impero degli Incas fu sopraffatto da soli centocinquanta uomini guidati da Diego de Almagro. Anche qui fu una carneficina generale senza che dalle bocche delle vittime uscisse un solo lamento. Gli occhi dei morenti erano rivolti al cielo: là stavano gli dèi e gli avi che li avrebbero accolti tra breve.
Cosí passò l’Atlantide anche nella memoria degli uomini. Sulle immense distese dell’oceano battono l’ali le procellarie. Altri cataclismi aspettano l’umanità. Niente dura nel mondo. Solo lo spirito è eterno.

da www.larchetipo.com/2005/dic05/antroposofia.htm

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Interessanti informazioni vengono descritte da Roger Dévigne nel" L'Atlantide, Passim, les oeuvres représentatives, Parigi, 1931":

« Un sondaggio del battello americano Gettysbury, nel 1887, attesta, a 130 miglia dal Cap Saint Vincent, l'esistenza di una piattaforma montagnosa sottomarina a occidente della penisola Iberica, e l'esistenza di rilievi sottomarini rico-perti di banchi di corallo rosa che hanno dovuto essere originariamente delle isole, segnatamente a 36,39° di latitudine N. e 11,33° di longitudine O.» [E, ecco, sul metodo, un'esigenza alquanto giustificata]: « Io chiedo solamente agli studiosi di ammettere il problema a titolo provvisorio, a titolo di ipotesi, in modo da poter orientare le loro ricerche secondo un piano che hanno finora voluto ignorare. Prima cercare, poi discutere; questa attitudine non è forse più conforme al vero metodo scientifico rispetto all'inconcepibile testardaggine che consiste nel negare il problema per evitare anche di porselo?»
« Moreau de Jonnés in "L'Oceano degli antichi e i popoli preistorici", (Parigi, 1873), pensa che un vasto oceano avrebbe un tempo ricoperto tutta l'immensa pianura russa, il famo-so Oceano Scitico, "così antico come il caos e la notte", dice Esiodo, nel quale il mar Caspio e il mar d'Azov sarebbero stati innanzitutto dei golfi. Gli orientali, peraltro ben informati sulla geografia dell'Asia, credevano all'esistenza di un oceano al Nord, che la Quarantanovesima notte delle storielle arabe situa al di là del Caucaso. Pomponius Mela racconta una tradizione simile, così pure il geografo Edrisi, quando parla del Mar Tene-broso che bagna la contrada Caucasica di Gog e Magog. La sparizione progressiva dell'Oceano Scitico sarebbe dovuta a un lento(direi brusco) sollevamento delle steppe russe... il disastro vulcanico di Atlantide fu completato dallo svuotamento [dunque molto brusco]dell'Oceano Scitico. Tutta l'Asia ne risentì... Si considerava primitivamente il mar Caspio come un fiume che comunicava con il mar Glaciale... Secondo certe leggende e secondo la geologia, si può intuire che il mar Caspio era allora molto più vasto di oggi, che l'Oceano Artico avanzava verso sud, e che una porzione del mezzogiorno della Persia era vista come un'acquisizione fatta sul mare: l'estremità meridionale del Mekrân si chiamava terra asciutta o nuovo continente.
« Gli studiosi, dice Berlioux, si sono troppo sovente accontentati di negare il problema di Atlantide senza discuterlo. Ma è collegato a troppe domande perché lo si possa sopprimere: esso tocca la storia del Nuovo Mondo come quella dell'Europa e dell'Africa, dai problemi geologici della formazione dei continenti, a tutte le ricerche di filologia e di etnologia che si rapportano all'origine dei popoli europei. Tutti gli studiosi e i curiosi che hanno abbordato queste grandi ricerche si sono trovati di fronte al nome degli atlantidi e a quello di Atlantis. Si sono scartati questi nomi come dei miti e, a dispetto delle condanne, non si è riusciti a farli sparire.
« Borchardt... afferma che la catastrofe che inghiottì Atlantide sarebbe avvenuta, non 9000 anni, ma 750 anni solari prima della conversazione dei sacerdoti di Saïs, ossia circa 1300 anni a.C., al tempo del diluvio di Deucalione.».

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Prima di inoltrarmi nella questione sull'esistenza di Atlantide,vorrei presentarvi un misconosciuto uomo di genio, Fernand CROMBETTE,che tra le altre cose ha portato un nuovo,e a mio parere, importante contributo allla nuova comprensione dei geroglifici egiziani ed,di conseguenza,della storia antica.
A differenza di Champollion che,tramite la stele di rosetta,traduce i geroglifici dal greco,Crombette parte dal presupposto che i geroglifici egiziani si debbano tradurre dal Copto.I risultanti sono assolutamente sorprendenti.
Qui un piccolo saggio:

Presentazione
l nostro Circolo Scientifico e Storico, col presente quaderno, ha stampato una delle opere
meno voluminose tra i 41 volumi scritti da F. Crombette. Ma, se è il più piccolo, è
sicuramente il più denso.
Non è quasi possibile stimare nel suo vero valore il presente opuscolo ignorando che esso
forma di fatto un post-scriptum o riassunto di uno studio profondo della lingua geroglifica
egiziana. I 20 volumi (di oltre 7000 pagine) che formano nella loro totalità la storia veramente
sconosciuta dell'Egitto -culla di tutte le civilizzazioni antiche del mondo- devono la
loro origine ad una messa in dubbio efficace del metodo di decifrazione di CHAMPOLLION.
Fernand CROMBETTE ha intrapreso questa grandiosa fatica e non è troppo presto per gli
egittologi mettersi alla sua scuola al fine di poter trovare tutti i tesori contenuti nelle steli,
muraglie, e altri documenti ricoperti di geroglifici fino ad oggi mal letti, e possiamo anche
dire non letti del tutto. Potranno così rettificare gli errori di dettagli che contengono inevitabilmente
tutte le opere comparabili a quella di Crombette, completarne le interpretazioni,
e soprattutto partire alla riscoperta delle numerose iscrizioni ancora misteriose.
Se Champollion ha il merito di aver suscitato l'interesse per la decifrazione, appartiene a un
altro francese, studioso sconosciuto, averli letti convenientemente ed aver stabilito, grazie
alla loro lettura, la vera storia datata dell'Egitto.
* * * *
Il testo che vi presentiamo è quello originale, senza ritocchi, dell'autore. É un peccato, e
cercheremo di porvi rimedio, che le opere in cui espone in dettaglio la sua scoperta non siano
ancora stampate. Esse sono la dimostrazione lampante della realtà della spiegazione del
metodo esposto nel presente quaderno.
Si tratta de:
- Il libro dei nomi dei re d'Egitto (15 volumi)
- Dizionario Sistematico dei geroglifici Egiziani
Noi speriamo che tutti gli studiosi, un giorno, renderanno omaggio a un lavoro così arduo,
magnifico e geniale quanto inatteso, che Crombette ci ha fornito nel dominio dei segreti più
segreti, lavorando da solo in un mondo che non l'ha conosciuto da vivo. É il prezzo che
pagano i gèni.
C E S H E

il resto qui

www.edicolaweb.org/Crombette/Champo...ci_Egiziani.pdf

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P.s.anche se la sua ricerca si fonda su una ricerca della veridicita della Bibbia,il metodo non ne viene minimamente sminuito.
 
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view post Posted on 5/3/2011, 20:17

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Ora prendiamo in considerazione come poteva essere il mondo al tempo in cui esisteva un solo continente.Per far questo non dobbiamo considerare le coste del continente Americano ed quelle dell'Europa e dell'Africa,ma dobbiamo considerare le loro piattaforme continentali.Osserviamo che unendole troviamo tra esse un intervallo largo circa 1000 km e lungo circa 5.500 km.Se consideriamo il punto di vista della zoogeografia e della fitogeografia ,esse richiedono,come una neccessita assoluta, l'esistenza di una terra intermediaria tra l'Africa e l'America del Nord,laddove esiste oggi questo intervallo.Il fatto vuole che proprio in questa posizione Platone colloca Atlantide.
Ora, siccome i corrugamenti montagnosi sono proseguiti fino al terziario compreso, bisogna che i territori intermedi tra l'Antico e il Nuovo Mondo non siano affondati che dopo il terziario, cioè al quaternario, al tempo dell'umanità.Questo stato di cose non puo essere avvenuto che con una dislocazione improvvisa dei continenti

Consideriamo ora quali possano essere, da un punto di vista linguistico,i punti in comune tra le varie popolazioni antiche che anticamente erano presenti sulle due sponde dell'Atlantico.
Riporto qui cio che asserisce Fernand Crombette:

PRIMO AFFONDAMENTO DI ATLANTIDE
AL DILUVIO
Pertanto, fino al Diluvio, 19 aprile 2348 a.C(n.d.s.qui è chiara la volonta di suffragare la verita della Bibbia,fatto che nulla toglie alla validita della teoria). l'Oceano Atlantico non esisteva e si poteva andare a piedi dall'Europa e dall'Africa in America. Notiamo, per inciso, che questa situazione spiega perché si possano trovare in quest'ultimo paese dei resti di civilizzazioni paeolitiche come se ne trovano negli altri continenti.
Quando, al Diluvio, la terra si dislocò in continenti, in isole e in banchi separati, l'intervallo tra le piattaforme continentali eurafricane e americane si sbriciolò in numerosi pezzi. Non solo il più grande di questi frammenti si individualizzò, ma tanto a sinistra che a destra si formano delle isole e dei banchi, e lungo la piattaforma continentale d'Africa una larga piattaforma, supportante le isole del Capo Verde e delle Canarie, si affossò. Ciò facendo, non fece che seguire il movimento di tutte le terre intermedie tra l'Europa e l'Africa, a est, e l'America, a ovest, che si affossarono al seguito del pezzo principale e sparirono tutte sotto le acque ad eccezione di alcune cime che formarono delle isole. Questo affondamento dovette essere facilitato dal fatto che le terre intermedie non erano più compresse tra i continenti opposti. Fu il secondo stadio delle terre atlantiche.
Questo affossamento ebbe una contropartita. Abbiamo già detto che la terra non ha la forma di una mela, ma di una pera, e che la prominenza piriforme del magma interno doveva essere stata impiegata da Dio per dislocare la scorza terrestre al Diluvio. Assolto questo compito, Dio la spostò in Asia, verso l'estremità orientale dell'Himalaya che si elevò di circa 5.500m in una "cupola" che si smorza in un raggio di circa 4.000Km.
* * * *
IL RIPOPOLAMENTO DELL' AUSTRALIA
Questo movimento ebbe per risultato di rialzare tutta l'Insulinde e di riunirne le isole con delle piattaforme sub-aeree di cui la maggior parte non supera i 200 metri di profondità attuale, e che, in ogni caso, permettevano un legame continuo, alla quota -2.000 attuale, tra l'Asia e l'Australia. Con questo mezzo, Dio assicurò il ripopolamento di quest'ultimo continente grazie ad una parte degli animali usciti dall'arca di Noè.
Così è dimostrato il meccanismo dei "ponti" che i geologi hanno generalmente giudicato necessari per spiegare le migrazioni animali tra continenti, ponti di cui non hanno tuttavia mai indicato il funzionamento, come riconosce FURON29: « Fatto sta che la biogeografia e la paleobiogeografia esigono delle relazioni terrestri tra dei continenti attualmente isolati uno dall'altro. Questi legami non possono farsi che con dei "ponti" intercontinentali comparabili agli attuali istmi di Panama, Bering o di Suez, o almeno con delle sfilze di isole ravvicinate. Cosa curiosa, questa teoria comoda, perfino necessaria, non può essere provata con nessun argomento di ordine geologico o geografico. Essa si appoggia tuttavia su argomenti biologici di prim'ordine: la ripartizione antica e attuale dei vegetali e degli animali terrestri. Si appoggia anche sulla distribuzione geografica degli animali marini della zona costiera che non hanno potuto propagarsi da un continente all'altro, attraverso l'Atlantico, per esempio, se non seguendo una costa oggi scomparsa.»
« Gli altifondi attuali, sovente cosparsi di isole, possono rappresentare antiche terre emerse. Si può essere scioccati a tutta prima nell'evocare antiche zone continentali scomparse
a 4.000 metri di profondità; ma l'importanza apparente della cifra è infima, proporzionalmente
al raggio del globo terrestre. Lo sforzo orogenico o epirogenico sarebbe anche
minore di quello che è necessario all'ascensione dei sedimenti marini fino a 4.000 metri
di altitudine durante l' emersione di catene di montagne. D'altronde, abbiamo la fortuna
di poter dare un esempio eclatante: l'istmo dell'America centrale misura 2.500Km, l'arco
delle Antille ne conta 3.000; è la larghezza dell'Atlantico tra l'Africa e il Brasile. Lo studio
geologico della Barbado e di Trinità mostra che la zona di queste isole era emersa all'Eocene,
che si è in seguito affondata sotto il mare, si è ricoperta da 5.000 metri di sedimenti
marini oligo-mioceni, che è risalita poi in superficie.»
* * * *
L' EMERSIONE DI ATLANTIDE E L' AFFONDAMENTO
DELL' HIMALAYA
La superficie del globo fu dunque, dopo il Diluvio, sollevata in Estremo Oriente
e abbassata nell'Atlantico. Questa situazione durò fino alla metà
dell'anno 2004 (2003,5) a.C. In quello stesso momento salì sul trono d'Egitto
il fondatore della seconda dinastia, Bochos o Boéthos, che prendeva la successione
di Ménes e dei suoi primi discendenti. I suoi nomi greci non sono
che l'abbreviazione del suo nome geroglifico. Il segno superiore è un'ascia, il
secondo tre aironi in fila, il che si dice in copto: Tadj Hi Schomti Baiou
Schoschpi Auêt, mentre il nome greco è rappresentato con Baiou Schosch.
Lo scudo reale si può tradurre in diverse maniere tra le quali:
Tadj Isch O Mto Bi Osch
Gléoa Homo Magnus Gurges Tollere Multus Magnus
Terra Uomo Grande Baratro Fare sparire Numerosi Grande
Fi Ahou Hêt;
Elevari Pars posterior Ægyptus inferior;
Sollevato Regione posteriore Delta;
In chiaro: "La terra ha fatto sparire un gran numero di uomini in grandi baratri della regione
posteriore del Delta, grandemente sollevata."
Questa traduzione è confermata da una antica cronaca menzionante che, all'avvento di Boéthos
o Bochos, si ebbe un prodigio vicino a Bubaste: la terra si era spaccata e un gran numero
di persone erano perite a seguito di questo fenomeno. A giudicare da quanto succede
ai nostri tempi nelle regioni sismiche, i fenomeni di questa natura e importanza sono già
molto eccezionali. Ora, si tratta a Bubaste di una regione che non è indicata come sismica;
bisogna dunque che il fatto che vi si è prodotto, e che la cronaca ha annotato come prodigioso,
abbia avuto una potenza del tutto anormale e un'origine straordinaria. Avremo l'occasione
di rilevare le tracce analoghe di una catastrofe di estensione comparabile nella zona
deltaica durante l'Esodo degli ebrei sotto la direzione di Mosè, e vedremo che la causa
dev'essere ricercata in uno spostamento delle masse interne della terra che hanno provocato
l'affondamento di Atlantide e il sollevamento dell'Himalaya con apertura e chiusura di faglie
nella zona intermedia. Senza dilungarci ora sul meccanismo di questo sconvolgimento,
diremo solo che avvenimenti analoghi possono aver avuto delle cause simili; è dunque possibile che, per un movimento di bascula quale quello che si è prodotto all'Esodo, ma di sen-so inverso, sotto il regno di Bochos, l'Atlantide sia emersa mentre l'Himalaya si abbassava in contropartita. Che Atlantide sia risultata allora da una emersione brusca, è ciò che emerge dal suo stesso nome, come andremo ora a mostrare.

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view post Posted on 6/3/2011, 12:39

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Sempre continuando a citare Fernand CROMBETTE nel suo "saggio di geografia divina"
IL NOME DI ATLANTIDE
Beuchat31, studiando le antiche civiltà americane, riproduce un'incisione tratta da un manoscritto del 1576, della collezione Aubin, che figura Aztlan, il luogo di origine degli Aztechi: (fig. 96, pag 264) Beuchat vi vede un'isola in mezzo a un lago e pensa che essa doveva trovarsi nella stessa America. Ma è facile vedere che non è vero, giacché l'isola così figurata dagli indiani stessi, è attorniata da flutti agiati come lo sono quelli del mare; ha al suo centro un'altissima montagna, caratteristica che non si trova nelle isole lacustri d'America; infine è molto grande, poiché vi sono figurate numerose città azteche. Bisogna dunque situarla nell'oceano vicino, e così ci conformiamo alle tradizioni degli indigeni che fanno venire i loro antenati da terre situate a levante dell'America.
Su questo argomento, Gaffarel ha detto, pagine 98 e 9932: "Uno dei primi storici della conquista, il freddo e coscienzioso Herrera, scrive: "che un gran numero di indiani istruiti avevano appreso dai loro antenati che la terra di Yucatan era stata popolata da nazioni venute dall'oriente, e che Dio avrebbe liberato dall'oppressione aprendo loro il cammino verso il mare". Landa, testimone oculare e uno dei principali autori della conquista di questo paese, dice anche: "Alcuni anziani dello Yucatan sostengono di avere inteso dai loro antenati che questa terra fu occupata da una razza di uomini che entrarono dalla parte del levante e che Dio aveva liberato aprendo loro dodici cammini nel mare..." Lizana e Torquemada sono ancora più espliciti. Essi tracciano la rotta di queste popolazioni erranti, secondo dei documenti indigeni che erano in loro possesso, e affermano che le popolazioni dello Yucatan venivano da Cuba dopo aver successivamente abitato Haïti, le Canarie e l'Africa. Ora, è noto come Colombo, Ordonez e i primi navigatori o storici, furono colpiti dalla rassomiglianza che esisteva tra gli indigeni delle Antille e delle Canarie. Berthelot, nella sua storia ben più recente delle Canarie, costata ancora la grande analogia tra i nomi di persone e di località alle Canarie e a Haïti."
Ricordiamoci, a questo proposito, che secondo le tradizioni egiziane raccolte dai greci, Osiris aveva lasciato delle colonie in tutta l'Africa, e che i discendenti egiziani di Osiris (o Pha-trusim), i Pharusii, avevano popolato la costa occidentale d'Africa, appunto di fronte alle Canarie33. Notiamo ancora che le Canarie, le isole Fortunate, Insulæ Felix, passavano per essere un frammento di Atlantide34.
31 - Manuel d'Archéologie Américaine, Picard, Parigi, 1912.
32 - Etude sur les rapports de l'Amérique et de l'Ancien Continent, Parigi, Thorin, 1869.
33 - Atlas de géographie, di Garnier, Vve Renouard, Parigi, 1862, pl. 4.
34 - Atlas Universel, di Drioux e Leroy, Parigi, Belin, 1852, pl. 6.
Incisione figurante Aztlan

Si è cercata ogni sorta di origini per gli indiani d'America; perché non aver creduto a ciò che dicevano le tradizioni indiane? Gli indiani dichiarano di essere venuti dall'Africa per 12 cammini che Dio aveva aperto nel mare, cioè 12 isole che Dio aveva fatto sorgere nell'oceano separando l'Africa dall'America. Queste isole non esistevano dunque anteriormente al cataclisma che le ha fatte apparire; ora, tra esse, la più importante era incontestabilmente quella citata da Platone nel Timeo, e che segna, nel fondo dell'oceano, l'immenso banco che, a 4.000 metri di profondità, si estende dal 50° al 10° parallelo: Atlantide. Perché rifiutarsi di riconoscere inoltre la stretta parentele linguistica tra l'Atlantis greco e l'Aztlan messicano? Si troverebbe questa relazione esteriore troppo poco convincente?
Ebbene! Scaviamo la parola. E per meglio dimostrare l'origine africana degli atlantidi, andiamo a cercare nell'Africa stessa gli elementi linguistici del loro nome. É il copto che ce ne svelerà il senso, giacché Aztlan si trascrive senza sforzo in egiziano:
Asch
Tel [tel]
En;
Quantus
Fluxus
Extrahere;
Molto grande
Fluido
Trarre da (o produrre alla luce del sole);
"Ciò che è stato tratto alla luce del sole dalla molto grande acqua (l'Oceano)".
Ecco la prova onomastica che l'isola di Aztlan è uscita bruscamente dall'oceano al quale ha dato il suo nome. Essa è emersa allora com’è affondata più tardi. E quando Aristotele, ironizzando gratuitamente sul racconto di Platone in merito ad Atlantide, scriveva: "Colui che l'ha creata, l'ha distrutta", non sapeva che diceva, suo malgrado, la verità: Dio, che aveva fatto sorgere in un momento quest'isola immensa, l'ha, con la stessa facilità, in un giorno e una notte, fatta sparire in fondo all'acqua.
Come adesso dei pretenziosi filologhi come Imbelloni e Vivante35 trattano irrispettosamente da "ineffabili" quelli che hanno creduto al racconto greco e ne hanno cercato una spiegazione scientifica, noi avremo il diritto di beffarci della loro sufficiente insufficienza, e di rinviarli alla filologia stessa per confonderli.
Questo non gli basta? Ecco delle prove supplementari: il geroglifico messicano che designa l'isola di Aztlan è un airone36 che si dice Aztatl. Ora, se trascriviamo in copto questo nome indiano, cosa vi vediamo?
Asch
Taha
Tel;
Quis
Statuere
Fluxus;
Il quale
Stare in piedi
Fluido;
"Colui che sta in piedi in ciò che è fluido".
Questa definizione è perfettamente esatta e totalmente egiziana, non solo di forma, ma di spirito; giacché era d'uso nell'antico Egitto, l'abbiamo già dimostrato, denominare gli animali dal loro comportamento particolare, e l'airone è appunto l'uccello che ha l'abitudine di stare ritto su una zampa nell'acqua. Allo stesso modo Atlantide innalzava al di sopra dei flutti i suoi picchi altèri. L'immagine dell'airone si applica d'altronde a un'isola; dico questo per quelli che hanno cercato di localizzare Atlantide nelle regioni continentali.
Aztlan, dicevano gli indiani, era il paese dei loro antenati, gli Azteca. É ancora il copto che ci svela la chiave di questo nome americano poiché Azteca si trascrive:

Asch
Têk
Ha;
Quantus
Fortis
Caput;
Molto grande, numeroso,
Forte
Capo;
"Molto grandi e numerosi i capi forti".
Si compari questa qualifica con ciò che diceva a Solone il sacerdote di Saïs: "In quest'isola Atlantide, dei re avevano formato un impero grande e meraviglioso. Questo impero dominava non solo sull'isola intera, ma anche su un gran numero di altre e su porzioni del continente". Tali re, non erano i capi forti, gli Asch Têk Ha?

L' ORIGINE EGIZIANA DELLA LINGUA AZTECA
Le rassomiglianze che abbiamo appena rilevato tra l'egiziano e il messicano sono già estremamente significative, trattandosi soprattutto di nomi di paesi e di popoli che risalgono generalmente ad un'altissima antichità. Non abbiamo tuttavia voluto accontentarci, e abbiamo portato le nostre ricerche etimologiche su un'altra serie di parole, anch'esse di origine certamente molto antica: i nomi dei 20 giorni di cui si componeva il mese indiano. Li indichiamo di seguito con, a fianco, la traduzione italiana del nome indiano37:
INDIANO ITALIANO EGIZIANO

Cipactli,
Ehecatl,
Calli,
Cuetzpallin,
Cohuatl,
Miquiztli,
Mazatl,
Tochtli,
Atl
Itzcuintli,
Ozomatli,
Malinalli,
Acatl,
Ocelotl,
Quauhtli,
Cozcaquauhtli,
Olin,
Tecpatl,
Quiauitl,
Xochitl,
coccodrillo
vento
casa
lucertola, iguana
serpente
morte
capriolo
coniglio
acqua
cane
scimmia
liana
canna
giaguaro
aquila
avvoltoio
movimento
silice, selce
pioggia
fiore
Sah-Pahs-Telea
Eis-A-Tel
Ka-Eili
Keks-Ballin
Çôouç-Ha-Tel
Mou-Koos-Telea
Masch-He-Tel
Thouz-Telea
A-Tel
Isch-Khônt-Telea
Hôs-Homi-Telea
Ma-Lh-Niau-Lal o
Ake-Ha-Tel
Odj-El-Hote-El
Koh-Ha-Hoe-Telea
Kôs-Kak-Koh-Ha-Hoe-Telea
Hôl-En
Tik-Pa-Djêr
Koui-Hêu-Hi-Tel
Kasch-Hi-Djêr
Noi vi aggiungiamo il nome del giorno: Tonalli = Tosch-Nau-Le-I
Esaminiamo uno ad uno questi nomi per vedere se si comprendono con il copto e se, di conseguenza, hanno la stessa origine del copto, che è l'egiziano; ciò mostrerà che la razza indiana è un ramo staccato dall'albero di Misraïm. Noi trarremo arditamente quest'ultima conclusione, giacché non sarà possibile introdurre l'obiezione che la lingua egiziana ha po-tuto essere imposta dagli egiziani a degli americani, che erano loro estranei, come l'aramaico lo fu ai giudei dai loro vincitori, poiché mai l'Egitto ha stabilito la sua supremazia
sull'America.
Cipactli, il coccodrillo. Tli è un suffisso che si ritrova in un gran numero di parole e che
noi crediamo di non poter meglio comparare che al copto Telea, species, specie, apparenza;
forma, figura, fattura; idea, tipo, idea. Il radicale è dunque qui: Cipac che può corrispondere
al copto Sah Pahs. Ora, vedremo più oltre che Sah è già da solo il nome egiziano
del coccodrillo. D'altronde, reptilia, rettile (e il coccodrillo lo è) si dice in copto Sahnii,
dove Ni tiene il ruolo di suffisso di specie, da Eine, species. In una maniera più generale,
abbiamo visto precedentemente che Dja designava gli animali striscianti; ora il djandia (lettera
copta ) può passare a S, da cui Sa. D'altra parte Pahs si traduce praeda, preda; morticinium,
corpo morto. Sah Pahs è dunque il rettile da preda, il rettile dei corpi morti, il
terribile coccodrillo le cui mascelle non perdonano l'imprudente che cade nell'acqua alla loro
portata. Eccolo dunque ben definito.
Ehecatl, il vento. Questa parola si scompone in Ehec-a-tl dove ritroviamo senza difficoltà
il copto Êis-A-Tel, ossia in latino, Celeritas-Esse-Fluxus = Rapidità-Essere-Fluido: il fluido
che è rapido.
Calli, la casa. Il copto ci offre una parola della stessa radice e di senso analogo: Kalibi;
tugurium, capanna, domus arundinacea, casa di canne; taberna vinaria, capanna dove si
beve del vino, cabaret. Queste parole si spiegano rispettivamente con Ka-El-Hêibi = Ponere-
Esse-Protectio = Porre-Essere-Protezione = Ciò che è posto per essere una protezione:
la capanna. Ka-Eili-Sebi = Ponere-Facere-Arundo = Costruire-Fare-Canna = La costruzione
fatta di canne. Ka-Ol-Ibi = Fieri-Tollere-Sitire = Ciò che fa-Togliere-Sete = Ciò
che è fatto per togliere la sete: la taverna. Il messicano Calli, facendo astrazione delle diverse
particolarità che presenta l'egiziano Kalibi, non ha ritenuto che l'essenziale Ka-Eili;
Ponere-Facere; Costruire-Fare: Fare una costruzione" o Costruzione fatta.
Cuetzpallin, la lucertola. Questa parola, in copto, diviene Keks-Ballin, composta da
Keks, cortex, carapace, e Ballin, vestimentum monachorum, cocolla. La lucertola ha, in
effetti, una carapace che la ricopre interamente, testa compresa, come di un vestimento monacale.
Cohuatl, il serpente. Noi vediamo in questo nome gli elementi copti Çôouç-Ha-Tel. Çôouç
si traduce curvus-obliquus-torquere = curvo-sinuoso-arrotolato nel suo corso. Ha,
prende qui il senso di præ, in comparazione, ed equivale a He, modus, alla maniera di.
Tel, è ciò che è fluido. Il serpente è dunque quello che gira nel suo andare alla maniera di
un corso d'acqua, e questo è vero se si considera il corso d'acqua in piano, con i suoi meandri,
o trasversalmente con i suoi dislivelli.
Miquiztli, morte. Qui ancora il copto ci offre la traduzione: Mou, mors, morte; Koos, sepultus,
che è stato sepolto; Telea, forma, modo: il modo in cui il morto è stato sepolto; si
tratta dunque più del modo di sepoltura che della morte in se stessa nell'azteco Miquiztli.
Mazatl, il capriolo. In questa parola si scopre Masch, superare, superare; He, ambulare,
percorrere; Tel, fluxus, fluido. Il capriolo è così rapido che supera alla corsa il vento.
Tochtli, il coniglio. Questo animale abita in una tana che si scava nel suolo. Ora, in copto,
fare un foro, fodicare, si dice Thouz. Telea, species, specie. Tochtli, o Thouz-Telea, è
dunque la specie di quelli che fanno dei fori.

Atl, l'acqua. Il significato di questa parola appare chiaro come l'acqua stessa: A, esse, esse-re; Tel, fluxus, fluido. L'acqua, è ciò che è fluido.
Itzcuintli, il cane. La definizione del nome di questo animale è ancora, se possibile, più espressive delle precedenti, già molto significative. Itz, è l' "Isch" ebraico, l'uomo; Cuint equivale a Khônt, approximare, avvicinare, o ducere, condurre; Telca significa specie. I-tzcuintli è così l'animale la cui qualità specifica è di accompagnare l'uomo, di condurlo sia alla caccia, come mostrano le più antiche tavole egiziane, sia nei trasporti delle zone glaciali, sia quando perde la vista.
Ozomatli, la scimmia. Le denominazioni immaginose proseguono: la scimmia è l'animale che si arrampica fra le liane; da ciò il suo nome scomponibile in Hôs-Hômi- Telea = Tor-ques-Ingredi-Species = ghirlande-andar dentro-specie.
Malinalli, le liane. Parola complessa in cui scopriamo:
Ma
Leh [lôh]
Niau
La[lo];
Regio
Consitus
Linum
Vagari;
Regione
Colma di
Cavi
Errare,
ramificarsi, estendersi (parlando dei vegetali);
in chiaro: "La regione piena di cavi vegetali erranti ramificati"; cioè l'inestricabile cortina che formano le liane attraverso la foresta vergine. Come d'abitudine, in composizione, non abbiamo tenuto delle parole in doppio, Lehlôh, Lalo, che la loro radice, che si può modulare in dittongo Le° h, Lå, il che ci conduce (come più sopra, lea, da Telea) al messicano Li. É un meccanismo simile a quello che lega il Rê Hi Oua egiziano al Rîja babilonese.
Acatl, la canna. Già il copto designa la canna, calamus juncus, con Ake. L'azteco, con il suo complemento Atl, permette di superare lo stadio della semplice rassomiglianza morfologica e di penetrare il senso della radice; esso ci porta a Ahe-Ha-Tel = Vita-In-Fluxus = Vita-In-Fluido: la canna è ciò che cresce nell'acqua.
Ocelotl, il giaguaro. Il giaguaro si può definire: una specie di leopardo che si arrampica facilmente sugli alberi; gli animali di questo genere, come la pantera, "sono feroci, coraggiosi, agili e forti; attaccano tutti gli animali, anche l'uomo, si arrampicano sugli alberi e si appostano". Detto ciò noi siamo portati a tradurre Ocelotl: Odj-El-Hote-El; ossia: Latro-Facere-Terror-Excidere: Ladro dal lungo cammino-Causare-Terrore-Cadere da; in chiaro: Il ladro del gran cammino che causa il terrore cadendo dagli [alberi].
Quauhtli, l'aquila. É una variante dell'Aiâh ebraico, dell' Ha-Hi-Ahi egiziano, con lo stes-so senso di avversario che si precipita dall'alto sul gregge, poiché Quauh si può trascrivere: Koh, vertex, punto culminante del cielo; Ha, adversus, nemico; Hoe, grex, greggi. Abbiamo già detto il significato del suffisso Tli.
Cozcaquauhtli, l'avvoltoio. Abbiamo visto che Quauhtli è il nome dell'aquila, dell'uccello da preda di grande levatura; Cozcaq si trascrive quasi letteralmente in copto: Kôs-Kak; ca-daver-abradere = cadavere-togliere raschiando. L'avvoltoio è ben "l'aquila che scarna il cadavere".
Olin, il movimento. Questa traduzione è di concezione moderna, è un'astrazione. L'egizia-no, più concreto, diceva: andare e venire: Hôl, vadere; En, venire.
Tecpatl, la selce. Il copto ci dà una buona definizione di questo oggetto sotto la stessa

forma: Tik-Pa-Djêr; Tik, scintilla, scintilla; Pa, qui pertinet ad aliquem, che serve a...;
Djêr, acutus-asper, aguzzo, puntuto, rude. La selce è un oggetto acuto, puntuto, rude, che
serve a produrre scintille. Abbiamo apparentemente, in questa definizione molto arcaica,
l'origine della scoperta del fuoco; è sfregando due selci per farne delle armi che l'uomo ha
visto scaturire delle scintille che hanno incendiato delle foglie morte vicine; da questo fatto
iniziale ha dovuto venire il nome che egli ha dato alla selce. Da qui alla venerazione religiosa
della pietra che contiene il genio del fuoco, non c'è che un passo.
Quiauitl, la pioggia. Per comprendere questa parola, noi traiamo dal copto: Kouï- Hêu-
Hi-Tel, cioè Aliquantulum-Cadere-Super-Fluxus: Una piccola quantità-Cadere-Dall'alto-
Fluido: Il fluido che cade dall'alto per piccole quantità.
Xochitl, il fiore. La prima sillaba di Xochitl riproduce quella del nome del fiore in copto:
Kasch ebio. Kasch ebio si scompone in Kasch Hê Bi Ô, ossia in latino: Caulis-
Offerre-Facies-Portare-Ens, e in italiano: Gambo-Offrire-Bellezza-Portare- Essere, da cui
la molto poetica designazione del fiore: Ciò che, sullo stelo, offre la bellezza e porta la vita.
Più semplicemente l'azteco trascritto dirà: Kasch-Hi-Djêr; Caulis-Super-Varius; Gambo-
Su-Che è di diversi colori; ossia: Ciò che sul gambo è di differenti colori. O, se si traduce
Hi con germinare, produrre: Ciò che, sul gambo, produce e che è di colori diversi.
Quanto al nome del giorno, Tonalli, eccoci alla traduzione col copto: Tosch, determinare,
delimitare; Nau, tempus, tempo; Le, pars, parte; L, exire, durare, esistere; in chiaro: La
parte di durata che delimita il tempo.
Eccoci arrivati alla fine del nostro esame; tutti i nomi di giorni senza eccezione hanno trovato
la loro perfetta corrispondenza morfologica e la loro completa spiegazione semantica
nel copto. Si può desiderare prova più convincente della stretta parentela dell'azteco col
copto? Queste lingue sono due sorelle di età differenti, ma nate dalla stessa madre: l'egiziano.
Come l'America precolombiana avrebbe appreso l'egiziano se non dagli egiziani che
vi sono andati, senza dubbio per primi dopo il Diluvio, quando Dio aprì loro dodici cammini
nel mare, partendo dalla terra d'Africa, con la surrezione di Atlantide e delle isole vicine?
É così che il Creatore, dopo aver diviso le terre con l'inondazione universale, ne assicurò il
ripopolamento gettando dei ponti tra i continenti. Verosimilmente ci mancherà il tempo per
intraprendere un giorno sulla lingua azteca il lavoro al quale ci siamo dedicati per i nomi
dei re d'Egitto. Nondimeno avremo indicato la via che deve permetterne la completa comprensione
fornendone le sorgenti. Ecco un esempio.
Beuchat38 scrive (p.356): « Nel manoscritto n° 3 della
Bib. Nat., il nome di un individuo chiamato Anahuacatl è
reso dalla figura a destra; cioè Atl, acqua, Nahuatl, parola,
essendo il segno dell'acqua girato dalla stessa parte
di quello che serve a designare la parola.» Per il chiarimento
di quanto segue, ricordiamo subito che il geroglifico ordinario dell'acqua non curvata
è come indicato a sinistra. Osserveremo inoltre che Nahuatl e Atl combinati non ricostituiscono
integralmente Anahuacatl.
Cerchiamo una traduzione integrale con il copto; Anahuacatl si trascrive:
Ha Hna Ouah Kha Tel
Caput Voluntas Injicere Contra Fluxus;
Capo Volontà Proferire In senso contrario Fluido (acqua);
"Il capo la cui volontà proferita ha fatto scorrere l'acqua in senso contrario".
38 - Manuel d'Archéologie Américaine, Picard, Parigi, 1912.
Anahuacatl
Geroglifico
ordinario

La parola è, in effetti, la volontà proferita. Questo Anahuacatl è dunque una sorta di mago, senza dubbio contemporaneo di uno dei grandi miracoli biblici e a cui i suoi concittadi-ni ne hanno attribuito l'onore per averne ignorato l'autore. La grafìa conferma d'altronde la nostra interpretazione poiché vi si vede una testa, un capo, che parla all'acqua e la fa girare verso di lui.

orso in piedi

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view post Posted on 7/3/2011, 22:18

Super Sayan

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Vi consiglio,se vi chiedete chi è questo sig.Fernand Crombette,di leggere la sua storia e le sue opere,tra cui la "Storia dell'Egitto".dove svela un nuovo ed interessantissimo modo di leggere i geroglifici egiziani e non solo.
Tutto quello che si è in precedenza detto si integra perfettamente,dando una veridicita al racconto Platoniano con quest'ultima considerazione:vi è stata all'epoca una improvvisa dislocazione dei continenti.

Einstein-Hapgood - Lo slittamento della crosta terreste

Uno degli scambi epistolari meno noti nella storia dell’Ortodossia è quello che avvenne tra Albert Einstein e il professor Charles Hutchins Hapgood, nato a New York nel 1904 e al tempo docente in un’università del New England. Il grande fisico era convinto che la tesi di Hapgood fosse esatta date le argomentazioni a sostegno ed il fatto che la crosta terrestre abbia dato origine a spostamenti significativi in un breve periodo di tempo e più volte. Sulle prime non sembra significare nulla tutto ciò, del resto la tettonica a placche già spiega lo scrollarsi delle spalle da parte della crosta terrestre. Bisognerà aspettare il 1955, vigilia della morte di Albert Einstein, quando incontrandosi i due il fisico gli confessò che le nozioni di gradualità care ai geologi erano solo delle convenzioni e che i fatti non necessariamente le giustificassero.

Le variazioni climatiche repentine avvenute sul pianeta in diversi periodi della sua storia e i dati empirici raccolti da altre discipline, non ultime l’archeologia e la paleontologia, possono essere spiegati, qualora si ammettesse che, di tanto in tanto, la crosta terrestre sostanzialmente rigida subisca vaste dislocazioni: così si esprimeva Einstein nella prefazione al testo di Hapgood "Earth’s Shifting Crust".
La dislocazione della crosta terrestre ha delle conseguenze straordinarie e terribilmente drammatiche per un pianeta e in special modo abitato: in pratica l’intera litosfera scorre contemporaneamente e repentinamente, come se poggiasse su cuscinetti, al di sopra dell’astenosfera, ultimo baluardo prima del mantello, provocando in superficie eventi geologici e climatici di una violenza parossistica come terremoti, maremoti e inondazioni. La portata degli eventi è naturalmente "biblica" e il risultato più eclatante che ne deriva è che intere parti continentali possono ritrovarsi a latitudini completamente diverse da quelle originarie con disastrosi effetti climatici generali su tutto il continente interessato; il pianeta, inoltre, subisce una notevole inclinazione del proprio asse.
Uno dei fenomeni che si possono osservare mentre l’intero territorio scivola a valle, è l’effetto del cielo e del sole che cadono dalla parte opposta della dislocazione con effetti psicologici devastanti sui sopravvissuti.
Il brusco spostamento contemporaneo di tutte le placche facilita un travaso immane degli oceani dal proprio alveo; un vero e proprio diluvio universale: le onde degli tsunami possono arrivare anche a centinaia, migliaia di metri d’altezza. I corrugamenti terreni potrebbero generare montagne in brevi periodi e spianare allo stesso modo i rilievi esistenti.
Brennan si sofferma su scoperte archeologiche testimoni di un evento parossistico. Anche i Flem-Ath riporteranno prove di uno spaventoso cataclisma avvenuto 11.000 anni or sono sul nostro pianeta; saranno proprio queste l’oggetto di studio e considerazione su cui costruire l’intero paradigma della dislocazione, a partire dalle anomalie dei ghiacci groenlandesi e antartici fino ai mutamenti culturali subitanei della fine del Pleistocene, passando per le drammatiche ed enigmatiche estinzioni di massa dei mammiferi. Fino ad identificare il Continente Perduto in una precisa terra ancora presente sul pianeta e non scomparsa tra i flutti dell’Atlantico.

tratto da www.nibiru2012.it/nibiru-2012/einst...a-terreste.html

Altre evidenze che si completano con cio che ho scritto precedentemente:
La nave Akademik Petrovski dell’Istituto Oceanografico di Mosca nel gennaio 1974 ha fotografato delle rovine sulla cima del monte Ampere della catena sommersa delle Horseshoes.
In seguito (1979) l’Akademik Kurchatov, fra il dicembre del 1979 e marzo del 1980, esplora l’arcipelago ed il Monte Ampère. L’apparecchio scatta 460 foto e registra 115 minuti di filmati ove si possono osservare strutture rettangolari nell’arcipelago sottomarino.
“C’era una serie di isole che la collegavano al continente opposto”
Nel 2001 una spedizione di ricerca del National Geographic condotta dall’oceanografa russo-canadese Pulina Zelitsky ha ritrovato i resti di un centro urbano situato su un altopiano al largo di Cuba:
Per quanto riguarda la catastrofe che l’avrebbe distrutta:
Quando nel 1898 si recuperò uno dei cavi della linea telegrafica transoceanica, insieme ad esso furono recuperati, dalla profondità di 2.800 metri, anche alcuni frammenti di magma. Al riguardo il direttore dell’Istituto Oceanografico Paul Trenier tenne una conferenza nella quale dichiarò che quella roccia vulcanica apparteneva ad un tipo di magma che poteva essersi formato solamente in superficie e risalente ad un’epoca non superiore ai 15.000 anni.
Dalla rivista scientifica "le Scienze" (edizione italiana dello Scientific American) n° 305/94, cito questa parte d’articolo:
"... le ultime prospezioni del fondale medio-atlantico eseguite da una équipe italo-russa, hanno appurato che sussistono (contrariamente a quanto finora affermato dalla teoria classica della tettonica a zolle) dei movimenti tettonici verticali di grossi blocchi di litosfera nelle vicinanze delle zone di frattura. Questo avrebbe provocato, in un remoto passato, l'emersione in superficie di isole che sarebbero di nuovo gradualmente scomparse sotto il livello del mare. Queste isole si sarebbero formate circa 5 milioni di anni fa e da allora sono ipotizzabili successivi episodi di emersione e sommergimento".
Le prove scientifiche verrebbero da una teoria avanzata dal geologo Alexander Tollmann, dell'Università di Vienna geologo dell'Università di Vienna, avrebbe trovato tracce di un impatto cometario in strati geologici risalenti ad un periodo che potrebbe andare dal 8.000 al 10.000 a.C.
Mi sembra che le prove che una catastrofe ha distrutto un continente insulare una volta presente in atlantico vi siano. Se poi non lo si vuole chiamare “atlantide” perché non è stato trovato il cartello: benvenuti in atlantide, questa è un'altra storia.

Da tutto questo si puo ragionevolmente dedurre che una terra di nome Atlantide possa essere realmente esistita,ed il racconto di Platone,forse, non è frutto di sola fantasia.Ipotesi assia piu concreta della sua negazione

orso in piedi



orso in piedi
 
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Abacus1
view post Posted on 9/3/2011, 00:08




QUOTE (orso in piedi @ 15/2/2011, 13:47) 
Desidero,anche in questo forum,parlare di Atlantide.Non voglio,nella seguente disamina,dimostrarne l'esistenza,ma porre in evidenza questa possibilita,e conseguentemente affermare che nessuno,e dico nessuno puo dimostrarne la non esistenza.

Atlantis certamente è esistito. Ma solo nella mente di Platone: in nessun altro luogo. Perché avrebbe dovuto parlare di un luogo reale? Era filosofo. Voleva scrivere un allegoria che avrebbe un effetto che fa riflettere sul popolo di Atene.

Ciao,

Abacus
 
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view post Posted on 9/3/2011, 12:25

Super Sayan

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Abacus la tua è un opinione legittima.
Mi chiedo, pero, perche Platone piu volte(non una sola)dichiara la sua storia vera
Chi siamo noi per dubitare della sua parola?
Io non voglio dimostrare nulla,ne sono tanto bravo per farlo.Voglio solamente dimostrare che ancora nulla è stato dimostrato,ne in un senso ne nell'altro.Non vi è alcuna prova evidente ne a favore ne contro l'esistenza di Atlandite.
Personalmente mi sono basato su delle evidenze,in vari campi, e dei ragionamenti che potrebbero(e ripeto potrebbero) far pensare che la storia del continente perduto possa essere stata reale.Ovviamente partendo dal presupposto che Platone dicesse la verita(e mai nessuno ha accusato Platone di essere un mentitore)

orso in piedi
 
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Abacus1
view post Posted on 9/3/2011, 16:01




QUOTE (orso in piedi @ 9/3/2011, 12:25) 
Abacus la tua è un opinione legittima.
Mi chiedo, pero, perche Platone piu volte(non una sola)dichiara la sua storia vera
Chi siamo noi per dubitare della sua parola?
Io non voglio dimostrare nulla,ne sono tanto bravo per farlo.Voglio solamente dimostrare che ancora nulla è stato dimostrato,ne in un senso ne nell'altro.Non vi è alcuna prova evidente ne a favore ne contro l'esistenza di Atlandite.
Personalmente mi sono basato su delle evidenze,in vari campi, e dei ragionamenti che potrebbero(e ripeto potrebbero) far pensare che la storia del continente perduto possa essere stata reale.Ovviamente partendo dal presupposto che Platone dicesse la verita(e mai nessuno ha accusato Platone di essere un mentitore)

Platone certamente insistito sul fatto che la sua storia era vera (Timaeus 20D, 60E). Ma molti filosofi greci non gli crede - per esempio, Aristotele (cit. in Strabone II, III, 6). E, se fosse una storia vera, perché non l'ha finito Platone? A metà strada, 'Crizia' ferma, e la storia di Atlantide non è mai completato.

Ciao,

Abacus
 
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22 replies since 15/2/2011, 13:47   541 views
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